Una terza key word particolarmente efficace per descrivere la generazione dei cre-attivi è “talento”, di cui si parla, in particolare, soprattutto con riferimento al lavoro, che rappresenta peraltro il principale diritto che i giovani rivendicano. Un lavoro che la generazione dei cre-attivi, in linea con quanto emerso anche in precedenti edizioni della ricerca, sa di non potersi limitare a cercare, ma che al contrario bisogna contribuire a creare, investendo in qualcosa che appassiona, puntando sull’originalità oppure innovando un lavoro tradizionale. Un lavoro che deve in primis consentire di realizzare i propri sogni e gratificare, e solo per il 10,7% garantire una elevata retribuzione.
Il talento cui pensano i giovani non è tuttavia una dimensione estetica fine a sé stessa, bensì un qualcosa che presenta al proprio interno una marcata componente etica. Di qui dunque l’idea del talento come strumento attraverso cui dare forma e sostanza alle speranze – e “speranze” è appunto la quarta key word – che animano le giovani generazioni, in cima alla cui lista svetta l’idea di una società fatta di persone competenti, responsabili e affidabili, e in linea del tutto analoga sono proprio competenza e onestà che i giovani sperano contraddistinguano la nuova classe politica.
Nel descrivere il loro mondo ideale, i giovani sono tuttavia costretti a fare quotidianamente i conti con una serie di “ostacoli” (la quinta key word), che prendono forma in primis all’interno della scuola. Una scuola che essi considerano non al passo con i tempi principalmente per la rigidità di programmi ministeriali, espressione di sovrastrutture che essi percepiscono come obsolete. Una rigidità che, in particolare, impedisce di parlare di quei temi di cui i giovani vorrebbero invece si parlasse, in cima alla cui lista svettano l’attualità, la politica e la cultura. Ma di ostacoli si parla anche a proposito della Rete, e in particolare con riferimento al ben noto tema delle fake news, la cui diffusione, sostengono gli intervistati, è dovuta principalmente alla superficialità con cui le persone condividono contenuti in Rete e alla esasperata ricerca dei “like” che caratterizza i social.
Agli ostacoli si può e si deve tuttavia reagire, e non a caso “reazione” è la nostra sesta key word. Una reazione che prende forma per esempio nell’adesione alla pena di morte, sostenuta da 1 intervistato su 3 in una logica di contrappassi tale per cui è giusto che chi commette un grave crimine paghi con la propria vita, soprattutto quando le vittime sono soggetti particolarmente deboli come i bambini. Di “reazioni” si può parlare altresì a proposito del bullismo e del cyberbullismo, quest’ultimo in particolare percepito principalmente come una forma di gioco, in quella logica deviata di talent show emersa già in altre nostre precedenti ricerche. Solo 1 vittima su 3 ammette di aver reagito parlandone con genitori e insegnanti, e questo perché vi è la convinzione che un loro intervento avrebbe peggiorato la situazione, complice anche quella scarsa digital media literacy che contraddistingue gli adulti.
Settima key word, “certezze”, termine che riassume la posizione dei giovani rispetto a due temi all’apparenza lontani, seppur legati da una sottile linea rossa, ovvero famiglia e giustizia. Se una buona famiglia è infatti prima di tutto quella che sa insegnare valori, una società può dirsi giusta solo quando essa garantisce l’uguaglianza tra le persone, la tutela dei diritti e il rispetto della legge. Opposte rispetto alle certezze ci sono invece le “paure”, nella cui hit parade svetta la criminalità, percepita come minaccia tanto quanto il terrorismo e le problematiche ambientali.
La penultima key word – ossia “relazioni” – ci fa entrare nella sfera più intima e privata dei giovani, laddove prende forma quel complesso intreccio di rapporti che definiscono il loro “essere al mondo”. Dal primo punto di vista, è significativo che per circa il 70% la personalità di un giovane si definisca sulla base di ciò che si è (le persone frequentate e/o il linguaggio utilizzato) piuttosto che in ciò che si ha (il vestirsi alla moda, i dispositivi tecnologici posseduti, l’auto guidata).
L’ultima key word che ci consegna la nostra ricerca è “tempo”, particolarmente significativa poiché introduce quel tratto caratterizzante di questa generazione menzionato in precedenza, ovvero la difficoltà a coniugare la propria cre-attività all’interno di una dimensione temporale che spazia tra presente, passato e futuro. A conferma di ciò, basti pensare che, se l’80% si dice soddisfatto della propria vita attuale, solo il 28,8% – avendo a disposizione la macchina del tempo – resterebbe nel presente, a fronte del 46,3% che tornerebbe nel passato mentre è ancor più bassa è la percentuale di chi vorrebbe proiettarsi nel futuro.
In conclusione, la fotografia che emerge dalla ricerca è quella di una generazione la cui cre-attività sta producendo qualcosa che va ben oltre quel fisiologico cambiamento che caratterizza indubbiamente ogni passaggio inter-generazionale. In questo caso, tuttavia, ci sono due dati di cui non si può non tener conto. In primo luogo, il fatto che di questa rivoluzione gli adulti e le stesse Istituzioni sono sempre più spettatori passivi, quando non finanche freni al processo in corso, e questo principalmente per il loro essere fuorisync rispetto al ritmo che contraddistingue la quotidianità dei giovani (quasi fosse una aritmia sociale). Di qui dunque l’istantanea di una società follower rispetto a una generazione di giovani influencer. Tuttavia, e qui veniamo alla seconda considerazione, che riporta a quanto emerso già nel 4° Rapporto, la capacità dei giovani di essere influencer tende a rimanere circoscritta in un alveo che sovente finisce per essere strettamente “privato”, complice anche quella crisi del concetto di “pubblico” che oggi investe la nostra società nel complesso. Va da sé che, finché la nostra società non saprà riappropriarsi del significato più vero e autentico del concetto di “pubblico”, anche la cre-attività di cui i giovani sono espressione finisce per restare una “emozione privata” e non una “reazione pubblica”.